lunedì 4 agosto 2008

Una suora davvero "di troppo"

Se, domenica sera, i mitici Ciclopi avessero "buttato" il loro unico occhio sull'indegna rappresentazione che si stava svolgendo in piazza Pietrobono, avrebbero immediatamente sommerso di massi il palcoscenico con tutti coloro che lo calcavano, tecnici e regista compresi. Ecco la storia.
Diligente e puntuale mi ero presentato a teatro con un buon quarto d'ora d'anticipo sull'orario d'inizio: gli accessi erano ancora chiusi ed una cinquantina di persone attendevano impazienti di poter entrare nell'arena. "Brutto segno", pensai, tanto che, per un attimo, fui tentato di andarmene. Finalmente, dopo una decina di minuti, ci fu consentito di prendere posto in platea ed un simpatico inserviente ci invitò garbatamente a non occupare le prime tre file: "Sono per le autorità", ci disse. Ora, tre file di posti corrispondono a circa settanta persone, un gran bel numero: chissà mai chi avevano invitato. Solo più tardi capii che si trattava di parenti ed amici degli attori: gli unici che avrebbero resistito fino alla fine dello spettacolo!
Sul palco era tutto un grande cantiere di lavori in corso: carpentieri che inchiodavano le quinte ed i pannelli di scena, elettricisti che allestivano l'impianto luci, tecnici audio che provavano i microfoni e due o tre musicisti che accordavano i loro strumenti. Erano ormai le nove e trentacinque - lo spettacolo sarebbe dovuto iniziare alle nove - quando il curatore della rassegna, Sandro Morato, sedicente attore e regista teatrale, con una voce impostata come se stesse recitando il monologo di Amleto, ci comunicò che, a causa di un blocco stradale che aveva coinvolto la troupe, l'allestimento era in ritardo e che bisognava essere pazienti ancora per un po', invitandoci, nel frattempo, a mantenere il silenzio: come se il chiacchiericcio della gente che non sapeva come alleggerire l'attesa disturbasse la magia poetica del rumore dei martelli sui chiodi, delle chiavi inglesi addosso ai bulloni, delle urla dei tecnici o di un tamburo che tentava di accordarsi con un trombone a culisse. Questa fu la seconda volta che pensai di andarmene, ma nemmeno in questa occasione lo feci.
Vuoi o non vuoi, alle dieci e venti finalmente incomincia la rappresentazione, giusto in tempo per consentire ai nostri politici locali di non arrivare a teatro a spettacolo iniziato. Le luci si abbassano e sul palcoscenico si alternano una serie di personaggi che, con voci e movenze volutamente ed esageratamente sgraziate, ci raccontano la storia - perfettamente identica a quella del famoso film Sister Act - di un bella cantante di night-club (Denny Mendez) che, testimone di un omicidio, sotto le mentite spoglie di una suora, viene nascosta dalla polizia in un convento. A causa di una regia "pesante", di una recitazione troppo sopra le righe e di una sceneggiatura noiosa, lo spettacolo non diverte e non riesce a catturare il pubblico: gli applausi sono pochissimi, di circostanza, e fin dai primi minuti la gente inizia ad andarsene. L'unica cosa degna di nota sono le gambe della Mendez e, quando lei indossa l'abito da suora, capisco che ormai non c'è più niente di buono da vedere ed anch'io, come tanti altri, decido di andarmene: alla fine del primo tempo il teatro è quasi vuoto.
Non capisco come un esperto di teatro come Morato possa essere incappato in una cosa così brutta: mi auguro, per lui, che l'abbia scelta senza averla vista. Peccato! Un curatore di una rassegna teatrale non dovrebbe commettere di questi errori: bene o male, anche se il pubblico non paga, si tratta di soldi della collettività buttati a mare. Speriamo che dalla prossima volta si torni agli standard a cui eravamo abituati.

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