mercoledì 24 ottobre 2007

Il mercato può davvero risolvere i problemi del commercio?

Non passa giorno che sulla stampa non si parli del mercato di Alatri e del suo eventuale spostamento. Pur ritenendo che si stia attribuendo a questo problema una rilevanza nettamente superiore a quella che realmente possieda, per capirci di più, abbiamo ugualmente deciso di sviluppare un approfondimento (che pubblicheremo nei prossimi giorni) sulla normativa che regolamenta il commercio sulle aree pubbliche e sui passi che un'amministrazione dovrebbe compiere per trasferire od istituire un mercato nel centro storico. La domanda che, invece, ci poniamo oggi è: crediamo davvero che riportare il mercato in centro sia la giusta cura ai mali del commercio?Pur ammettendo, per assurdo, che gli "ambulanti" siano interessati a lasciare Chiappitto per tornare in centro (ne abbiamo intervistati alcuni e tutti ci hanno detto, senza mezzi termini, che, da quando sono stati spostati a Chiappitto, i loro incassi sono notevolmente aumentati) e che la gente preferisca passeggiare dentro il paese piuttosto che davanti all'ospedale, la risposta è, ovviamente, NO!
Sono ormai diversi anni che il commercio di vicinato si trova in una situazione di sofferenza e le cause di ciò non possono essere attribuite interamente alle politiche comunali, ma vanno ricercate sopratutto nelle mutazioni comportamentali che hanno investito la nostra società e le abitudini d'acquisto. Prima fra tutte la mobilità: oggi in ogni famiglia ci sono due o più automobili, ci si sposta molto sia per lavoro che per diporto e lungo le principali direttrici stradali si sono sviluppate strutture di vendita (non solo i grandi centri commerciali) dotate di comodi parcheggi per gli automobilisti di passaggio. Mi chiedo: se debbo acquistare un prodotto generico (il giornale, le sigarette, il latte, o altri generi similari) perchè dovrei addentrarmi faticosamente al centro della città, visto che sulla strada che percorro ogni giorno trovo molti esercizi che lo vendono? Al secondo posto metterei la maturità dei consumatori: oggi la gente vuole avere ampie possibilità di scelta prima di acquistare, verificare la qualità dei prodotti, confrontare i prezzi, paragonare le diverse opzioni, decidere in tranquillità se effettuare o meno l'acquisto. Perchè, quando in un supermercato posso fare come mi pare, dovrei andare nel piccolo negozio sotto casa dove ho poca scelta, rischio di spendere di più e il commerciante mi forza ad acquistare comunque quello che ha, anche se non corrisponde alle mie esigenze? Terzo, il ruolo sociale assunto dall'andare per negozi; oggi si va al centro commerciale o all'outlet con lo stesso approccio della gita fuori porta: per quanto assurdo possa apparire, intere famiglie vanno a trascorrere la domenica a Carrefour o a Panorama dove, tra un gelato, un caffé ed un panino con l'hambuger si fa anche la spesa per l'intera settimana.
I commercianti (la maggior parte, non tutti), per contro, sembrano aver trascurato, o non aver colto, queste dinamiche di cambiamento; essi non sono stati capaci di ribaltare queste trasformazioni a proprio vantaggio, non hanno adeguato le loro offerte commerciali ai nuovi comportamenti di consumo, ma si sono interstarditi sulle proprie posizioni, invocando interventi protezionistici da parte delle amministrazioni comunali, piuttosto che ripensare e riprogettare il prorio ruolo all'interno della nuova realtà: e così hanno attribuito colpe alle isole pedonali, ai mercati spostati, all'apertura dei centri commerciali, alla liberalizzazione delle licenze; sono andati in piazza a protestare, ma niente di più. Nemmeno gli amministratori (non solo gli attuali) sono esenti da colpe: loro stanno a guardare quello che succede senza intervenire, trincerandosi dietro il più ignavo dei "non ci possiamo fare niente, sta accadendo così un po' d'appertutto, rassegnatevi". Eppure di cose da fare ce n'erano e ce ne sono! Certo, i commercianti sono imprenditori e, come tali, debbono essere pronti a rischiare in proprio, ma il commercio è (era?) un settore economico rilevante per Alatri, una fonte do occupazione e di guadagno per molte famiglie, un elemento di attrazione del circondario che, come tale, va sostenuto e difeso, ma non con iniziative sporadiche, non con i mercatini di Natale (che anzi svolgendosi solo di domenica finiscono col diventare un danno per il commercio locale), non con le manifestazioni estive che, pur apprezzabili e godibili, vanno ad incrementare soprattutto i guadagni dei baristi e dei ristoratori.
Quella che, negli ultimi otto/dieci anni, è venuta meno, e che oggi ancora manca, è una pianificazione dello sviluppo commerciale del paese, una politica di sistema in grado di fornire una forte identità commerciale alla città, che preveda quali settori incentivare e quali scoraggiare, che crei la cultura associazionistica fra gli operatori, che favorisca lo sfruttamento delle risorse finanziarie (oggi pressoché esaurite) disponibili a livello regionale, nazionale ed europeo, che solleciti le iniziative di innovazione tecnologica e di commercio elettronico, che rilanci il settore dell'artigianato artisitico, che mantenga viva la città dal punto di vista amministrativo (uffici, scuole, università, ecc.), che agisca di concerto con lo sviluppo dell'offerta turistica locale, che defiscalizzi le nuove attività o le imprese di giovani.
Oggi le serrande abbassate sono tante, troppe, alcuni "treni" sono passati e non sembra facile riprenderli, ma sicuramente si può fare di più e di meglio dell'abolizione di un'isola pedonale o del riposizionamento del mercato del venerdì che, anzi, in questa situazione, più che di un'iniziativa di sostegno, ha il sapore di una pietosa elemosina.

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